Disagio giovanile: il nostro punto di vista.
I temi del disagio giovanile e delle criticità legate al fenomeno della devianza minorile, nell’ultimo periodo, sono al centro del dibattitto cittadino e nazionale. Nella nostra città, come in ogni area urbana del Paese, registriamo da qualche anno un peggioramento della condizione dei giovani con l’aumento preoccupante delle aree di marginalità e di bisogno: la cronaca sempre più spesso ci parla di episodi di bullismo e di varie forme di illegalità diffusa, messi in atto da fasce sempre più giovani della popolazione.
Ci viene rimandata la fotografia di un fenomeno complicato, inserito in una società mutevole, in cui le misure di tutela delle persone più fragili e le strategie di tenuta sociale risultano fortemente indebolite. Un fenomeno che sembrerebbe essere prevalente tra gli adolescenti, che vivono una particolare fase del ciclo evolutivo e sono quotidianamente attraversati da importanti domande relative al Sé e all’Altro.
Purtroppo, però, quando ascoltiamo i dibattiti sul tema, le soluzioni proposte sono spesso frutto di posizioni accusatorie e/o repressive e non di un’analisi che tenga conto della complessità del fenomeno e del reale. Si punta il dito, a volte anche contro questi stessi ragazzi, addossandogli semplicisticamente un’etichetta che rischiano di portarsi dietro tutta la vita.
Crescere insieme, ormai da anni, è presente sul territorio con la propria comunità socio-educativa e la propria équipe multidisciplinare. I nostri professionisti, ogni giorno, lavorano in prima linea per sostenere i ragazzi a scoprire le loro risorse, rispettare l’altro e le regole comunitarie, trovare la propria strada nel mondo degli adulti. Assistente sociale, psicologa ed educatori si confrontano con le complessità di questi giovani, fanno la propria parte tentando di trasformare i punti di forza individuali in opportunità concrete, le difficoltà e gli sbagli in occasioni di crescita e cambiamento. Un lavoro continuo, quotidiano, difficile. Nel corso del tempo abbiamo accolto oltre 60 minori in condizione di abbandono o di fragilità sociale. Non stiamo adesso a sottolineare i risultati raggiunti, seppur importanti, perché non è questo il focus dell’intervento.
Siamo assolutamente convinti dell’importanza della necessità di una vigilanza capillare da parte delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine, con le quali abbiamo il dovere di intrattenere una relazione quotidiana e costante, che possa favorire il confronto, individuare tempestivamente le criticità e mettere in campo interventi di soluzione delle stesse ma nondimeno ci vogliamo soffermare su quali siano le reali possibilità di intervento delle strutture socio educative. Queste comunità, quotidianamente, predispongono e realizzano interventi che mettono al centro il minore attraverso relazioni educative e azioni concrete che permettano a quel determinato minore di raggiungere il maggior grado possibile di senso di responsabilità, autonomia e autostima e che si propongono di ridurre i fattori di rischio relativi ai fenomeni di disagio e devianza giovanile.
Viene utilizzato ogni strumento educativo a disposizione, ogni risorsa del territorio e ogni forma ludica per evitare devianze e pericoli e per sostenere lo sviluppo di potenzialità e benessere personale.
I progetti educativi individualizzati sono certamente lo strumento essenziale per accogliere le sensibilità dei ragazzi, i loro bisogni e aspettative in modo da tradurli in percorsi di vita strutturati ma educare, lo sappiamo, è un compito complesso. Non è un’iniziativa privata, riservata solo ad alcuni, bensì è un’azione collettiva che implica la partecipazione e l’impegno di più soggetti.
Il Comune deve e può essere il primo alleato delle strutture socio educative tramite la professionalità, indiscussa, dei propri dirigenti e delle assistenti sociali che si impegnano in un’interlocuzione anche quotidiana, quando necessario.
La scuola è un elemento fondamentale: accoglie, forma e ,in diversi casi, lavora il doppio per offrire un percorso didattico a ragazzi spesso già grandi e non necessariamente centrati su cosa vuol dire studiare e stare dentro una classe, a causa di esperienze precedenti e/o vissuti emotivi particolarmente delicati.
Lo sport può essere un veicolo di integrazione e inclusione straordinario: ogni iniziativa in questo senso va sostenuta e incoraggiata. Negli anni, la nascita di realtà come United L’Aquila o le tante iniziative promosse dall’Aquila 1927 hanno rappresentato occasioni importanti per chi opera quotidianamente con i ragazzi.
Attraverso i tre fondamentali esempi citati, vogliamo evidenziare come sia necessario che ogni parte attiva del processo educativo di questi giovani sia coinvolta e che se da una parte un’azione di controllo è indispensabile, dall’altra è necessario mettere in campo ogni mezzo possibile per offrire alternative ai nostri giovani.
La rete del nostro territorio esiste: va sostenuta e migliorata.
Rammarica vedere, invece, che oggi assistiamo alla ricerca dell’ennesimo capro espiatorio: per alcuni sono le Comunità, per altri il Comune e per altri ancora persino i ragazzi, che sono minori e per cui la legge italiana è, giustamente, garantista.
Sembra non esserci la reale volontà di andare a capire l’origine del problema, che non è solo locale, per inserire reali e utili correttivi.
Non crediamo che ci siano soluzioni preconfezionate ma una modalità operativa che riteniamo utile, ad esempio, potrebbe essere l’istituzione di un tavolo tecnico permanente composto dalle Istituzioni, dai rappresentanti degli enti di accoglienza e dalle forze dell’ordine. Un tavolo che potrebbe avere sempre sotto controllo il polso della situazione e le eventuali criticità, in modo da non lasciare nessuno da solo nel momento della difficoltà.
Dal nostro punto di vista è indispensabile, come comunità intera, stimolare e attivare “anticorpi” che siano in grado di far fronte a tali fenomeni, prevenirli e ri-orientare percorsi di vita che sono partiti male ma che non per questo sono senza speranza .
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